L'industria dell'abbigliamento pare oggi una commedia sofisticata, che ha come tema centrale il piacere dei singoli in rapporto alla confusione dei valori, tipica dei tempi che stiamo vivendo. Tutto è confusione: l'informazione, la politica, le pensioni, la finanza, la borsa, il lavoro, le guerre, l'ambiente. L'obiettivo della moda, invece, è chiaro: un netto rifiuto della noia. Ma non è così semplice; bisogna affilare le armi, criticare il costume, soddisfare il mercato. Del resto, la confezione è un mestiere che bisogna saper fare. È sbagliato dire che siamo in un'epoca berlusconiana e quindi "fare e disfare è sempre lavorare". Nel tessile/abbigliamento si va sempre a cicli, e il ciclo della moda più indossabile, più attenta al benessere fisico, e al portafoglio, è tornato. C'è stato un cambiamento di costumi, di linguaggi, di tecnologia, e la moda si nutre di queste novità. Mi piace ricordare che proprio nei momenti di maggiore insofferenza, e quindi di crisi, la moda italiana rinasce dal basso e rispunta dignitosa e graffiante. Tant'è che ha saputo mantenere costanti, se non intatte, la forza, l'operosità e la qualità del suo prodotto. È la storia, non la commedia, della "consacrazione" pubblica di un importante comparto industriale, sorretto da una tensione artistica che non si allenta mai.
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