venerdì 2 agosto 2013

L'eleganza Delle Contadine Bolognesi - Etichette Di Moda


Fra tradizione e invenzione



Questa è la mostra che qui si documenta si è tenuta nel 2003
al Museo della civiltà contadina - Bentivoglio (Bo)
è il risultato di una esperienza didattica, alla quale hanno partecipato nove tessitrici dell'area emiliana e ventisei studentesse l'Accademia di Belle Arti di Bologna.


 
L'obiettivo era la creazione di una serie di abiti femminili, ispirati ai manufatti  del vecchio mondo contadino dell'Emilia-Romagna, a partire da tessuti artigianali.
Questa l'idea portante; una sorta di incontro tra il passato e il presente, tra la stabile e solidissima costanza di una tradizione com'era quella agricola locale e il fantasioso manifestarsi di una spontanea urgenza di invenzione presso giovani costumiste e tessitrici odierne.
E va precisato che non solo abiti veri e propri, ma anche attitudini, riti, feste, decorazioni, figure, simboli, oggetti e utensili dell'universo contadino (dunque ancora "abiti", ma nel senso più ampio e però più profondo del termine) dovevano fornire materia di analisi e di ispirazione per lo sviluppo tematico delle creazioni in mostra. 
Allo scopo di preparare al meglio l'operazione, si è proceduto ad eseguire una ricerca di carattere iconografico e documentario sull'abito nella civiltà contadina, e ovviamente anche sul contesto più generale di civiltà in cui l'abito si colloca, una ricerca tesa a fornire un regesto di fonti e argomenti di riflessione. In particolare l'indagine ha cercato di rendere il più possibile evidenti quali erano i singoli pezzi che componevano l'intero abito, a partire dall'uso "obbligato" del fazzoletto da testa e del grembiule, sempre presente nell'abbigliamento quotidiano delle contadine (quasi si trattasse di testimoniare, anche in sede allusiva, una laboriosità intrinseca a un certo ruolo sociale).
A livello operativo, le tessitrici hanno inizialmente prodotto una vasta campionatura, realizzando tessuti con i "classici" filati delle nostre campagne (la canapa, il cotone, la lana di pecora) ma anche servendosi di materiali "originali", per così dire anomali rispetto alle usanze tessili del mondo contadino e pur tuttavia a quel mondo correlati in quanto facenti parte del suo orizzonte produttivo, come ad esempio spaghi e corde di vario genere, raffia, foglie di granoturco, saggina, paglia ed altri elementi vegetali. In seguito, a seconda del bozzetto al quale il tessuto era stato abbinato, in accordo con le costumiste, le tessitrici hanno realizzato pezze di vari metraggi utilizzando telai artigianali. Nel frattempo le costumiste hanno disegnato i bozzetti, talvolta dal tratto accurato e minuzioso e talaltra anche molto estemporanei.
Il risultato sono i quattordici abiti e i diversi accessori, che qui vedete.
                                                                                                                                  Monica Montan


Come vestivano le contadine bolognesi
Le informazioni di cui disponiamo in proposito non sono molte e si riferiscono quasi tutte ad un passato relativamente recente e a una dimensione della loro esperienza di vita: quella lavorativa. Ci sono offerte, infatti, nella maggior parte dei casi, delle fotografie realizzate nell'ultimo secolo dai fotografi, dilettanti o professionisti, che le hanno ritratte impegnate nei lavoro campestri o in quelli domestici. Esemplari, in quel senso, sono le fotografie di Antonio Pezzoli che ritraggono, nei primi anni del '900, le donne di una famiglia contadina impegnate in vari fasi della coltivazione della canapa.


Scrive Maura Palazzi:
Osserviamole con attenzione.  Indossano, perfino nei campi arroventati dalla calura estiva, pesanti e lunghi abiti che conferiscono eleganza alla figura, ma certamente rendono faticosi i movimenti. Hanno il capo coperto da grandi fazzoletti annodati dietro la testa e più spesso sotto il mento, sia per proteggersi dai raggi del sole e dalla polvere, sia per non contrastare norme sociali che predicano una modestia femminile veicolata dall'abbigliamento. I loro piedi sono spesso scalzi: lo sono quando stanno con le gambe immerse nell'acqua per raccogliere le mannelle di canapa posta a macerare, ma spesso anche quando eseguono lavori sul terreno asciutto.
Per i secoli dell'Età Moderna, a differenza di altre aree del nostro paese, non disponiamo di testimonianze figurative attendibili. Non mancano, tuttavia, anche per questi secoli, le fonti in grado di gettare luce sull'abbigliamento delle contadine bolognesi. Tra quelle a stampa, particolare interesse rivestono le opere di Giulio Cesare Croce (1550-1609) che, attentamente analizzate , hanno consentito a una studiosa francese di individuare, almeno in prima approssimazione, i più importanti elementi del guardaroba femminile.




Scrive Monique Rouch:
Rispetto agli uomini le donne sono più modeste. Indossano la gonna (stanella), una corta casacca (cottarella), sempre con il grembiule (grimbal) sopra. Il grembiule fa parte costantemente dell'abbigliamento femminile, anche nei giorni di festa: le donne lo portano per danzare come per andare ai matrimoni. Una reticella ferma-capelli (red), un fazzoletto da collo (pansel) e i guanti completano l'abbigliamento dei giorni di festa. Come gli uomini le donne sono vestite molto semplicemente, poveramente, come mostrano i tessuti impiegati per confezionare i vestiti. Accanto al filindente, una tela di canapa piuttosto grossolana, tessuta con un filo per ciascun dente del pettine del telaio, è menzionata la mezzalana che serve tanto per gli uomini che per le donne. Semplicità e povertà vanno di pari passo, tuttavia, con una certa eleganza, che non risiede nei pezzi importanti del vestiario, troppo cari, ma si manifesta negli accessori.
Già nel Settecento, tuttavia, almeno nel caso delle famiglie degli artigiani di vari centri della pianura, i tessuti di canapa e di lana non sembrano costituire più l'unica base dell'abbigliamento femminile. In molte famiglie contadine, soprattutto delle valli appenniniche, canapa e lana, rimasero, però, anche nel corso dell'Ottocento, le principali fonti dell'abbigliamento maschile e femminile.
Scriveva nel 1932 l'autore di una ricerca sulle condizioni delle famiglie agricole della Valle del Panaro promossa dall'I.N.E.A:
In inverno si indossavano le lane comprate al vicino mercato, cardate, filate e tessute dalle donne di casa nelle veglie di stalla quando gli uomini attendevano a riparare gli strumenti agresti, come scale, rastrelli e cerchie da battere il grano. Alla primavera si sostituivano alle lane indumenti di canapa provveduta nelle campagne bolognesi, preparata in famiglia e tinta quasi sempre sullo stesso colore, turchino cupo, dai tintori del vicino paese. Non si conoscevano o praticavano negozi di mercerie, ed i percalli, le mussoline, i pettinati non facevano proprio per i nostri mezzadri. Il sarto capitava a casa due volte all'anno, in primavera e in autunno accompagnato da uno o più aiutanti, e prese le necessarie misure a tutti i membri mascolini della famiglia, sullo stesso telo di lana o di lana tagliava per ognuno un vestito della identica foggia o maniera. Una qual certa pretensione di lusso avevano larghi bottoni di madreperla che adornavano le giacche a doppio petto dei vecchi e i corpetti attillati dei giovani. Lavorava il sarto sull'aia all'ombra di una pianta, assistito dal cane che non aveva dimenticate le carezze  del precedente soggiorno, e dai fanciulli scalzi e mocciosi che ammiravano l'azione delle forbici larghe e brunite, e la palla di vergine cera su cui ogni tanto l'artefice sapiente faceva passare la lunga gugliata di refe che serviva a punti larghi e robusti. Era sua mercede una mina - Kg. 25 - di frumento.
Impiegata per secoli, nel bolognese come in altre aree del paese, nella confezione degli abiti e, ancor prima, della biancheria domestica (lenzuola, federe, tovaglie e tovaglioli, ecc.) e personale (camicie, mutande, fasce da neonato, ecc.) delle famiglie contadine, la canapa restò quasi sempre ai margini dei consumi dei ceti urbani più agiati: per le caratteristiche naturali, per il limitato grado di sviluppo delle tecniche di trasformazione, ma anche per precise esigenze di distinzione sociale.
Scriveva nel 1749 Ludovico Antonio Muratori, parlando dei primi tentativi di "ridurre la canape alla sottigliezza del lino:
Quando riuscisse all'industria di migliorare la canape e di farne belle tele a queste converrà mutar nome, altrimenti pericolo ci sarebbe che non potesse prendere sonno in quelle chi non si crede distinto dal volgo se non usa robe straniere.
Soltanto nella prima metà del Novecento, a partire in particolare dagli anni della "autarchia", si intensificarono le ricerche e le esperienze - tramite il Consorzio Nazionale Canapa - volte a verificare la possibilità di più ampi e raffinati usi tessili e sartoriali della canapa.



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 






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mostra a cura di: Monica Montan

coordinamento delle costumiste: Luisa Zurla

fotografie: Riccardo Vlahov



I tessuti sono opera di:

Ebe Annigoni, Raffaella Capozucca, Paola Dotti, Susanna Guernelli,

Adriana Marsiglia, Maria Orfei, Antonia Pastore, Francesca Ragazzini, Maur Roppa



Le creazioni sono opera di:

costumi

Maddalena Artusi, Serena Bogi, Chiara Caforio, Silvia Cocci Grifoni, Sabrina D'Ippolito,

Antonella Fenu, Francesca Forti, Paola Fortini, Enrica Iapella, Daniela Lama,

Michela Massaccesi, Natalia Mazer, Sara Menegatti, Ilaria Monari, Giuseppe Palella, Francesca Pasquali, Elisa Piccinini, Laura Pucciarini, Ketty Rambaldi, Cristina Spallanzani, Francesca Vescovi



accessori

Stefania Achilli, Maria Vittoria Castaldello, Fulvia Leonardi, Annamaria Torluccio,

Maria Verdi

 
 


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